Barbara Baraldi: Lullaby – La ninna nanna della morte
Italia, oggi.
La vita di un imprecisato paesino di campagna(1), scorre lenta e monotona, come quella dei suoi abitanti: studenti più o meno ribelli persi tra casa, scuola e uscite “clandestine”; giovani casalinghe divise tra commissioni, cura dei figli e lavoretti per arrotondare; solidi padri di famiglia, seri, impegnati, ma sempre pronti a concedersi uno spritz al bar “da Gianni”; vecchie mamme moribonde, ma poi sempre vive e fin troppo vitali; aspiranti scrittori e rappresentanti, baristi annoiati, pensionati sentenziosi ecc.
Ma quello che sembra un tranquillo universo paesano, sta per essere scosso da qualcosa che si agita sotto la lucida superficie: qualcosa di più eccitante della barista del nuovo “American Bar”, e decisamente più pericoloso.
E prima che il sangue cominci ad arrossare le strade del paese, è solo questione di tempo…
È “un gotico rurale con qualche velato ammiccamento al soprannaturale, e sfumature noir che non guastano mai”(2), “Lullaby”, ultimo romanzo di Barbara Baraldi, recentemente proposto ai lettori italiani da Castelvecchi; e se a dichiararlo è l’autrice stessa, parlando -con mossa classicamente metanarrativa- per bocca del personaggio dell’aspirante scrittore Marcello (che dimostra così, se non grande sensibilità, almeno grande capacità auto-riflessiva) non ci si può certo azzardare a dissentire; tanto più che i caratteri del gotico rurale (in particolare, di marca americana) ci sono tutti: dall’amplificazione delle passioni (negative) dovuta alla “strettezza” dell’ambiente, alla mancanza di stimoli culturali, dalla tonalità “soprannaturale” assunta dagli “impulsi negativi” che originano la sanguinosa vicenda e dall’associazione (storicamente molto solida)(3) rigorismo morale-religioso e violenza, al lento risolversi del già citato elemento sovrannaturale(4) in un accadere “umano, troppo umano” (e anzi, verrebbe da dire “familiare, troppo familiare”); il tutto espresso attraverso una tecnica mista che incrocia scelte classiche(5) e trovate post-moderne(6), assoluta cura dei dialoghi e brani espressi in discorso indiretto libero(7).
Anche sul versante del noir (che l’autrice riduce a un insieme di “sfumature”), il romanzo funziona meravigliosamente: la storia è perfettamente congegnata, gli indizi sepolti nell’intreccio bastano a farsi un idea della soluzione della vicenda (ma si resta pur sempre con l’incertezza), la tensione regge -a dispetto del ridotto numero di delitti-, fino all’impennata finale.
Il ritmo è continuo, la narrazione è fluida, avvincente, limata, “giovanile”, ma sintatticamente precisa. Ed è proprio su questo che poggia la perfetta riuscita di “Lullaby”: sulla capacità dell’autrice di costruire una narrazione matura (tematicamente e stilisticamente), mantenendo un rapporto profondamente empatico, e dimostrando una perfetta comprensione dei tormenti giovanili della protagonista; così, in un panorama di scritture finto-giovanili sempre più omologate e sempre meno sopportabili, i giovani tornano “leggibili”, e la bistrattata letteratura di genere si riappropria di uno stratagemma critico classico, ma ancora più che efficace: la frattura tra lo sguardo “puro” degli adolescenti e la vuota ipocrisia, la falsità dei valori del mondo “adulto”.
Il romanzo “Lullaby – La ninna nanna della morte”, di Barbara Baraldi è edito da Castelvecchi.
(1)Paesino che, in virtù delle poche battute di dialogo espresse in dialetto, si tende a collocare in Emilia.
(2)Barbara Baraldi, “Lullaby – La ninna nanna della morte”, Castelvecchi, Roma 2010, p. 17.
(3)Questo elemento critico nei confronti della violenza indissolubilmente connessa ad ogni eccesso religioso risalta anche nella breve flashback relativo a un tentativo di esorcismo ai danni di uno dei protagonisti…
(4)L’elemento gotico, nell’accezione comune del termine, è piuttosto da ricercare nell’uso (o riuso) di oggetti -immagini, citazioni horror, scampoli di brani musicali, che vanno dai Cure (loro il pezzo “Lullaby” che dà il titolo all’opera) a “Il Corvo”, passando per i Bauhaus di “Bela Lugosi’s Dead” ecc.- tratti dall’immaginario “dark” (termine tutto nostro per un genere che, all’estero, si chiama appunto “gothic”), al quale l’autrice, adattandosi (e senza fatica) al gusto della giovane protagonista, fa riferimenti continui.
(5)Scelte che vanno dalla reticenza al depistaggio, e alla costruzione per pezzi brevi interrotti in maniera da mantenere sempre alto il livello della tensione, tanto per citare gli esempi più ovvi.
(6)Alternanza di tre punti di vista, ognuno dei quali espresso un po’ in prima e un po’ in terza persona, e con focalizzazione variabile.
(7)Il discorso indiretto libero è utilizzato dall’autrice per risolvere i momenti di particolare tensione emotiva: si prenda, per esempio, un brano come “Cammino sotto la falce di luna. Cammino con il cielo nero sopra la testa. Nessuna stella, solo quella polare, grande e lucente come una pietra preziosa. Forse il libro che ho cominciato a scrivere non terminerà mai. Penso e ripenso fino a spremermi dentro, ma quando mi ritrovo di fronte alla pagina bianca del pc, le parole che mi frullavano in testa scompaiono. È come se si smembrassero, perdessero di consistenza. Diventassero trottole indemoniate che sbattono l’una contro l’altra. Rumore sordo nelle orecchie. Mi sembra di scoppiare e allora devo alzarmi e accendermi una sigaretta. Che cosa mi manca?” (Ivi, p. 164), che esprime tutta la lacerazione interiore, l’impotenza del “cinico” e “freddo” (solo apparentemente, va da se’) Marcello, senza neanche il bisogno di tirarne in ballo la tediante (ma forse “castrante” sarebbe più appropriato) situazione familiare.
Fabrizio Fulio
Articolo apparso su Nonsolonoir