di Eva Massari
Fragili e inquiete, le fate di Barbara Baraldi danzano sulle note di una ninnananna punk.
Giada, una creatura della notte stretta nel suo universo buio e claustrofobico, e Luana, vibrante di luce nel suo nido di cristallo.
Facce opposte della stessa luna.
Per il mondo sono solo due adolescenti, compagne di scuola che vivono la loro favola fatta di chiacchiere, complicità e sogni da condividere, che se ne fottono dei patti con gli adulti e tessono incerte la tela delle loro verità.
Il sogno che vivono è soffocato da un cuscino di insegnanti, genitori, da uno scrittore mancato che medita di uccidere la madre malata e da Mirko, imberbe ragazzetto che si sballa con la droga e si procura piacere con la bocca di Giada.
Storie che si intrecciano sottili e precise come una ragnatela, abitata da un gigantesco insetto che ha il volto della paura, quella che porta il padre di Luana a dividerla dall’amica e che fa sprofondare Giada in un buco nero che ha la forma di una cisterna abbandonata, dove si abbandona alle pretese di Mirko, e sempre di più alla cocaina.
L’incubo è perpetuo, le visioni sono reali. Giada corre, ansima, cerca Mirko nel pozzo ma non lo trova, non ci vede, non respira, poi si ferma, inciampa.
Inciampa sul corpo di Mirko, cadavere.
E’ sola e senza la sua dama bianca, si fa scudo di un amico del padre ricattandolo, obbligandolo a seguirla e a proteggerla dai demoni (reali?) che la seguono, e sottraendolo alla sua personale ricerca della felicità che ha il seno rigoglioso di una casalinga neomamma.
Intanto Luana riceve un messaggio da uno sconosciuto che le dà appuntamento in un luogo singolare, e nel bagno di casa trova un coltello insanguinato.
Corre dalla madre a chiedere spiegazioni, la madre dai biondi capelli, biondi come quelli della donna alla guida del suv che ha tanto spaventato Giada.
Delicato e intenso, onirico e crudo, dopo La Colezionista di sogni infranti e La casa di Amelia, con Lullaby la principessa del gotico si trasforma nella regina delle fiabe oscure.
Recensione pubblicata nel magazine Milanonera n.5 – marzo 2010 – Anno III