È uscita in edicola l’antologia Eros & Thanatos nella collana Supergiallo Mondadori. L’antologia è curata da Lia Volpatti e contiene il mio racconto «La morte dell’innocenza». Le prime pagine del racconto:
La morte dell’innocenza
Lola e l’aurora
Lo spazio è angusto. Lola solleva la gonna e divarica le gambe in modo che le mutandine non scivolino a terra, ma rimangano sospese come un muro di tessuto a fiori. Le cosce in trazione, tornite e abbronzate, libere dalle calze. La pelle liscia e lucida.
«Lo sai che odio parlare oltre una porta chiusa» si lamenta Aurora, le spalle appoggiate alla porta della toilette. Di fronte a lei c’è un grande specchio sormontato da luci al neon. Cinque stelle comete che invece di regalare desideri illuminano i difetti. Mostrano le imperfezioni della pelle, le piccole rughe, le borse sotto gli occhi. Aurora alza il mento e si guarda con sfida. Sfida la sua immagine come per dire che non le importa nulla se i capelli hanno perso lucentezza e fanno una piega strana appoggiandosi alle spalle. Grosse virgole che non riesce a domare e le danno un’aria dimessa; per non parlare dei chili di troppo di cui non riesce a liberarsi. L’ovale del viso non è più marmoreo. Una volta sembrava quello di una bambola.
Una bambola di porcellana.
Aurora rimane immobile anche se vorrebbe avvicinarsi alla superficie riflettente e tirare la pelle con le dita per vedere che effetto farebbe una tiratina qui, proprio sotto il mento.
Si tocca il seno. È ancora sodo nonostante tutto. Ci mancherebbe, non ha avuto figli. A questo punto, inutile ingannarsi. Non ne avrà mai. Il piacere della maternità lo lascia volentieri alle altre donne. Lei non ha tempo per certe cose, il lavoro viene prima di tutto.
«Non mi viene se qualcuno mi guarda. E poi non eri tenuta a parlare; dovevi limitarti ad ascoltare» risponde Lola oltre la porta chiusa.
Il getto di pipì interrompe per un attimo la conversazione. Lola presta attenzione a non toccare con la pelle nuda la tazza del water. È sollevata a mezz’aria con quelle minuscole mutande a fiori tese e i muscoli guizzanti che la fanno sembrare una gazzella pronta a spiccare un balzo.
Aurora si sistema il reggiseno. In fondo è ancora una donna piacevole, si convince. «Ti ho ascoltata e lo sai cosa penso in proposito. Per me non dovresti andarci», dice alla collega.
«Perché? Per rifiutare un invito così garbato dovrei avere almeno un paio di buone ragioni, invece ho solo ottimi motivi per accettare».
Lola tira lo sciacquone. Aurora sospira e si avvicina allo specchio. Finge di non vedere i segni d’espressione marcati ai lati della bocca. Si passa il lucidalabbra senza badare ai contorni. Un movimento veloce da destra a sinistra. «Vuoi davvero dei buoni motivi per non andare all’appuntamento? Ti accontento subito», asserisce.
Muove il pennello per labbra. Direttore d’orchestra che disegna parole invisibili. «Primo, non lo conosci abbastanza bene. Già sarebbe azzardato raggiungerlo in montagna per una cena a due ma, e arrivo al secondo motivo, c’è un’altra coppia che non hai mai incontrato prima».
«Sarebbe questa l’occasione per conoscerci».
«Meglio una pizza o un cinema sola con lui. Bada che, se poi non ti trovi bene, sei incastrata due giorni tra neve e ghiaccio in un posto isolato con un manipolo di sconosciuti. E poi da quello che mi hai detto lui cerca solo di portarti a letto».
Lola esce dalla toilette e guarda l’altra donna nel riflesso.
Come vorrebbe essere ugualmente determinata.
L’altra donna è formosa, ha capelli ramati mossi sulle spalle e due occhi d’ebano che scioglierebbero un pezzo di ghiaccio. Deve avere qualcosa in più di quarant’anni. Si veste con gusto. Femminile, mai volgare, scarpe decolleté e gonna longuette con spacco in posizione strategica. L’altra donna è una vera donna, conclude prima di spostare lo sguardo alla figura accanto. Si vede insignificante. Una bellezza come tante. Non lascia il segno; è normale che gli uomini cerchino solo di portarsela a letto.
Lola estrae dalla borsa una bomboletta, la agita e passa lo spray sulle gambe alzando la gonna fino all’ombelico.
«Se vai in montagna non potrai evitare di mettere i collant. Non ti basterà spruzzare quella diavoleria per ottenere l’effetto calze di seta. Non so come tu faccia ad andare in giro con le gambe nude con questo freddo. Io mi ammalerei subito», afferma Aurora mentre guarda la giovane. Vede una ragazza bellissima con caschetto biondo chiaro sotto le orecchie e viso acqua e sapone. Il corpo sodo sembra scolpito sotto le gonne leggere che porta anche d’inverno. Indossa un dolcevita bianco e occhi verdi da cerbiatta.
Per un attimo gli sguardi si incrociano.
«Ci andrò. Non si sa mai che questa volta sia differente».
«Non avevo dubbi. Spreco il fiato a parlare con te».
«Spero di non doverti dare ragione».
«Avere ragione una volta in più non cambierà nulla. Continuerai a non seguire i miei consigli e a lamentarti che non ti prendono sul serio».
«Rimani in agenzia nel pomeriggio?»
«No, ho appuntamento con una coppia per mostrare la villetta in via Basile».
«Se avessi i soldi ne comprerei proprio una così», sospira Lola.
«Io no di certo. Ha i soffitti troppo alti. Si spende un capitale in riscaldamento, per non parlare del garage sottoterra. Scomodo e se piove troppo si allaga che è una meraviglia».
«Questo, immagino, ai clienti non lo dirai».
«Spiegherò loro che il garage sotterraneo ottimizza gli spazi e i soffitti ad arco sono eleganti e ricordano le dimore nobiliari dei primi del novecento».
«Ho ancora molto da imparare».
«Soprattutto in fatto di uomini» enuncia Aurora.
Il dipinto è al centro della stanza. Vuota. Solo quella tela ferita capace di svelare emozioni e colori e suoni. Sì, perché la ragazza ritratta sembra gridare parole mute. Claustrofobia sensoriale, passioni che si rincorrono in un walzer di pennellate gravide di significato.
Salici piangenti
«Ci hai scopato?», chiede Aurora infilandosi gli occhiali da sole.
«Non avrei dovuto?», la ragazza bionda si sistema una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Non è educato rispondere a domanda con domanda. Comunque, dipende. Ti è piaciuto?», Aurora scarta il traffico alla guida della berlina nera fiammante.
«Relativamente».
«In che senso? O sì o no, non si tratta di mangiare una pizza o guardare un film».
«Non è stato entusiasmante, ma non c’era altro da fare. Vuoi che ti dica che avevi ragione? E va bene, avevi ragione: eravamo sperduti in mezzo al nulla con questa coppia noiosa e boriosa, due architetti che non parlavano d’altro che di ristrutturazioni e design. Quando lui mi ha proposto di andare in camera da letto ho tirato un sospiro di sollievo».
«E così concedere le tue grazie è stato il minore dei mali. Un rimedio contro freddo e noia. Ecco, siamo arrivate. Non è adorabile?»
Rimangono con il naso all’insù a fissare una palazzina con facciata a vista, ampi terrazzi e un bel giardino pavimentato interrotto da aiuole verdeggianti.
«Davvero deliziosa. Quanti appartamenti ospita?»
«Soltanto sei. Come ti dicevo, il costruttore seleziona i suoi clienti. Lo conosco bene e so che non affitterebbe mai a extracomunitari o studenti turbolenti. Non per essere razzista, intendiamoci, ma quando si sceglie dove metter radici bisogna valutare tutto».
«Quanto hai ragione, pensa che i Bonanni sono tornati in agenzia a lamentarsi perché alla firma del compromesso non li ho avvertiti che nello stesso piano del condominio vive una famiglia cinese. Dicono che friggono a tutte le ore e appendere i panni in terrazzo significa impregnarli di un odore terribile».
«Spero tu sia stata meno gentile della volta scorsa. Non siamo tenuti a fornire ai clienti informazioni sul vicinato».
«È quello che ho detto loro. C’è l’ascensore?», dice Lola meravigliata, «Non oso immaginare le spese condominiali tra giardino e tutto il resto».
«Ne vale la pena. Fidati di una che gli appartamenti e gli uomini li riconosce al primo sguardo».
Nell’ascensore il profumo dolce di Aurora e quello speziato di Lola si mescolano in una fragranza seducente. Secondo piano.
«Questo e quello di fronte sono gli unici appartamenti rimasti liberi. Ma, se accetti un consiglio, qui puoi sfruttare meglio gli spazi e la vista è migliore», spiega Aurora. Entrano nella penombra fitta. Odore di vernice fresca, di nuovo.
La donna dai capelli ramati si muove sicura fino alla finestra, spalanca lo scuro rivelando un ambiente ampio e luminoso. I tacchi a spillo echeggiano in quello spazio asettico, privo di mobilio.
«Davvero splendido, perfetto per una single. Non so perché ma le case vuote mi provocano un inspiegabile stato di adrenalina. Eccitazione», così dicendo la ragazza bionda apre la porta finestra e si affaccia al terrazzo. «Si vede il parchetto con i salici piangenti. Adoro i salici piangenti. Cosa chiedere di più dalla vita? Avevi ragione, mia cara».
«E devi ancora vedere il meglio. Cerca di deciderti in fretta se ti piace. L’agenzia Casa Mia si è già messa in moto. Ieri mattina ho incrociato qui davanti quel Riccardo Preziosi in compagnia di una sventola platinata».
«Lo odio, crede di essere chissà chi. È sicuro di sé, presuntuoso e falso. Come fanno i clienti a non accorgersene? Prometterebbe qualsiasi cosa pur di aggiudicarsi una vendita e questo mese ci ha già soffiato due transazioni», sbotta Lola.
«Ci sa fare. È un bel ragazzo, intelligente e ha la sfrontatezza necessaria per risultare un vincente».
«Cosa dici? È solo un egocentrico manipolatore. Con quel sorriso di plastica e le sue auto sportive. Dovresti odiarlo più di me! Il mese scorso ti ha letteralmente rubato una cliente storica, Luisa Manicardi se non sbaglio».
«Lorena, non Luisa. Eravamo compagne di scuola. Una vita fa».
«Amiche da anni e quella si rivolge a quel damerino per sistemare i figli. Secondo me quella si è fatta fare un servizio extra. Voleva trovare l’amante, altro che l’agente immobiliare».
«Se anche fosse? Una donna dovrà pur trovare dei passatempi. Ricorda che bisogna saper perdere per godere appieno delle vittorie. Non sarà che ti scaldi tanto perché lo trovi attraente?»
«Neanche per sogno! Pur di soffiargli la vendita di questo gioiellino firmerei immediatamente il compromesso. Non ne posso più di stare dai miei; ho bisogno della mia indipendenza. Ho ventisette anni, non sono più una bambina».
«E cosa ti frena?»
«Devo prima assicurarmi due contratti a cui sto lavorando da un paio di mesi. Con la provvigione sarò in grado di versare l’acconto per accendere il mutuo».
«L’ingegner Bernini, di cui mi parlavi?»
«Sì. La settimana scorsa l’ho portato in visita a due ville in collina, ma non si decide. Come incentivo avevo messo la minigonna. Con te funziona sempre».
«E non ha funzionato?»
«Macché! Lo accompagnava la moglie. Non sai che occhiatacce. Io, imbarazzata, a tentare inutilmente di abbassare quel ritaglio di tessuto. La prima villa era splendida, una favola. Quella ha obiettato che il parco era po’ misero mentre l’altra villa, quella esposta a nord, non l’ha neppure voluta visitare. La prossima settimana mostrerò loro Villa Ferri. Mi presenterò con un tailleur accollato e speriamo sia la volta buona».
«Il lavoro è un campo di battaglia, Lola. E, come si dice, in guerra e in amore tutto è permesso. Quindi affila le unghie e se necessario affidati ai colpi bassi», consiglia Aurora. Si solleva delicatamente la gonna e sistema l’autoreggente con pizzo nero prima di stringere l’occhio alla collega. «Adesso ti mostro un segreto», aggiunge, «non crederai ai tuoi occhi».
Vista in lontananza la tela sembra raffigurare un cielo prima del temporale. Lo sfondo nero e un lenzuolo grigio che circonda il corpo latteo della fanciulla che pare galleggiare nel vuoto. Una dea della tempesta che fluttua e maledice gli uomini e i loro peccati.
L’uomo senza volto
Il giovane stringe i pugni, la fronte madida di sudore. Immobile, nello spazio ristretto. Ha il fiato corto, ma non deve fare rumore o si accorgeranno della sua presenza. Sarebbe la fine di tutto, la fine del suo gioco. Così controlla il respiro, nessun fremito. Dalla posizione privilegiata in cui si trova, spia l’uomo e la donna che si trovano nell’ampia stanza vuota. Loro non possono vederlo [Continua in Eros & Thanatos (Supergiallo Mondadori, novembre 2010)]
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