Impreziosita da una bella copertina di Onofrio Catacchio che riassume in un solo disegno l’intera idea del romanzo, arriva nella collana di romanzi brevi diretta da Luigi Bernardi la conferma che la vincitrice del premio Gran Giallo Città di Cattolica 2007 è avviata con sicurezza sul sentiero battuto dai narratori che lasciano il segno.
Parlo di Barbara Baraldi usando il termine narratrice perché l’ispirazione del suo lavoro è quella di raccontare storie. Fiabe nere, in questo caso, ma anche sogni inquietanti che contengono screziature di una passione, di esperienze vissute ed elaborate mescolate ad altre suggestioni che vengono dalla fantasia, dall’immaginario.
Barbara è un’attenta osservatrice della realtà umana e fantastica che la circonda. Elabora emozioni sue o forse semplicemente osservate in altri e le riproduce in una storia complessa dove i meccanismi del thriller italiano degli anni 70 non sono di maniera ma utensili impiegati con abilità perché amati.
Due ragazze allacciano una relazione d’amicizia vagamente tinta d’ambiguità su Internet perché questa è la natura della Rete. Il doppio volto, le identità inventate, i lati oscuri che emergono solo a tratti sono come i preliminari di un rapporto erotico. Stuzzicano, incuriosiscono, non di rado feriscono ma, inevitabilmente, portano alla decisione di incontrarsi davvero.
E così comincia un viaggio iniziatico in una bassa che richiama senza troppa insistenza famosi film di genere ma che contiene mille piccoli rimandi alle passioni di Barbara: la fotografia, il simbolismo orientale, la musica, il cinema. Il meccanismo del viaggio è un classico ma qui s’intreccia con il doppio, con quelle sequenze prive di punteggiatura che rimandano al sincopato rapporto delle chat ma che prevedono cambi di ritmo, pause più introspettive, un controllo di emozioni e linguaggio che rivelano una professionalità già rodata. E quello che potrebbe sembrare -ma solo nel primo approccio- un percorso iniziatico, un’esperienza interiore, a poco a poco si trasforma in un percorso inquietante, un cammino a tappa in un mondo fatato che nasconde un cuore nero e pericoloso.
Paure infantili riemergono alla memoria del lettore come se Barbara ti conoscesse da sempre sapesse quali sono le tue più segrete incertezze, pronta a inserirle in un montaggio serrato, come in un film. E qui sei già preso per la gola, trascinato da un meccanismo simile alle ipnotiche giravolte di una ballerina di carillon che non riesci a smettere di guardare. La vicenda procede con incontri, falsi indizi, una tensione crescente dove tutto è doppio e terrificante. Mai gratuito. Un piccolo grande thriller italiano, nostrano, senza gli odiosi clichè televisivi ma che ci piacerebbe veder realizzato per immagini.
Un’interpretazione dell’originale nero italiano, echeggiante di spunti classici ma animato da una forza vitale. Aspettiamo Barbara, ansiosi di leggerne il seguito: “La casa di Amelia” (PeridisaPop 2009), un romanzo seducente sulla memoria che distorce i ricordi attraverso il filtro della paura, dell’angoscia, del senso di colpa. La capacità di tessere orditi complessi e inquietanti non le manca.