La ragazza è seduta sul letto, gambe incrociate in posizione meditativa, sguardo fisso sulla fotografia in bianconero che risalta dalla pagina aperta del vecchio album. Ritrae una giovane donna su un divano retrò che sembra ricoperto di una vecchia carta da parati a figure geometriche. Il corpo in posizione composta ma un braccio teso e la mano aperta come per schermarsi, nel tentativo di impedire il ritratto, negare l’esteriorità. Cristallizzata tra le ombre di un negativo, ritratto di un pittore contemporaneo che si muove senza pennello né colori. Magia della creazione tra le mani della bambina che ha scattato quella foto, straordinario portento per fermare gli attimi. Per trasformarli col grande occhio dell’obiettivo.
Mia adora quella foto. Così spontanea, in movimento perenne. Il movimento veloce delle mani della sorella quando le intimava di non fare qualcosa. Luce guizzante negli occhi, bocca socchiusa. Si vede chiaramente dall’immagine: la giovane donna sta parlando. Marta. Chissà cosa stava dicendo? Non può ricordarlo così comincia a sussurrare l’alfabeto, enfatizzando il movimento delle labbra a cercare la posizione per modulare i suoni delle lettere. A, B, C…
Si interrompe di colpo. Mia, stava chiamando Mia. Il mio nome, pensa.
Ripete il nome che le appartiene e se ne convince, le aveva detto sicuramente: “Mia, smettila!”, pregandola di lasciarle almeno il tempo per ravvivarsi i capelli e sistemarsi davanti allo specchio. Ma la bambina non poteva aspettare, aveva in mano quell’oggetto magico e voleva ricordare per sempre la sorella così, le gambe accavallate come una donna più grande mentre occupava come d’abitudine il suo posto al centro del divano. Si sedeva sempre lì, anche quando la tappezzeria optical aveva lasciato il posto a un’isola bianca dai soffici cuscini di nuvole. Marta.
Quando sente che la vita le fa paura Mia si affida al vecchio album di fotografie come per trovare un consiglio, materializzare di nuovo quella voce delicata e le sue certezze: “E’ così, Mia”, le diceva sempre sua sorella. Allora trovava la forza di cacciare la sua insicurezza.
Da troppo tempo invece la consultazione di quell’oracolo inanimato non fa che aprire un pozzo di sofferenza. Ogni volta si sforza di riportare alla luce particolari dimenticati, di non permettere al tempo di cancellare i ricordi ma le risulta sempre più difficile scavare tra i detriti della memoria.
E fa male. Dentro.