Bambole pericolose: Melanie

Alza gli occhi la leonessa, scruta finalmente la sua avversaria che sembra fremere al lato opposto del quadrato. Melanie Mendes. Guardia mancina, capelli castani ricci e fluenti raccolti da una coda alta. La pelle ambrata che evidenzia i muscoli reattivi. E’ alta e stazzata, bocca carnosa, le palpebre strette scoprono la ferita scura dell’iride infuocato. Le narici si stringono e si dilatano. Un toro nell’arena, un cane da combattimento pronto a lanciarsi contro l’avversario per farne strazio.

L’arbitro ripete le regole ma le due donne non stanno a sentirlo. Si studiano, si osservano. Nessun cenno di esitazione, nessuna delle due abbassa lo sguardo. Un braccio di ferro, guerra psicologica. Niente è da prendere con leggerezza quando sei sul ring. Il tempo perde consistenza, un attimo e le due procedono al rituale del saluto dando il via all’incontro.

Eva non sente neppure le ultime raccomandazioni dell’allenatore, non sente qualcuno del pubblico che grida il suo nome più forte degli altri. Si ripara dietro i pugni chiusi, un passo in avanti per accorciare la distanza con l’avversaria, uno indietro quando è l’altra a farsi avanti. Danza cadenzata, cerimoniale ermetico.

Si girano intorno, nessuna delle due cede alla tentazione di attaccare per prima. Giocano a carte coperte ma sanno che le lancette stanno correndo e i due minuti del round che a volte sembrano interminabili possono volare via come un battito d’ali se si aspetta troppo a colpire. E ogni colpo è un punto.

Melanie scalpita, esegue una raffica di saltelli guadagnandosi una posizione ravvicinata, infine spezza l’attesa tendendo un jab che prepara un potente diretto sinistro. Eva schiva scivolando di lato. La sudamericana avanza con una sequenza di jab e diretti ma la velocità della bionda non le permette di andare a segno. Eva para, scarta, scivola via e non apre mai la guardia. Risponde con una breve scarica di jab e poi un saltello all’indietro la porta al riparo dall’attacco dell’avversaria, che si sbilancia e perde stabilità. La sudamericana, sorpresa, incassa un montante al fegato seguito da un gancio sinistro e infine una serie di low kick. Cerca il contrattacco ma la leonessa è già guizzata via e le sta girando intorno.

“Codarda! Scappi, eh?”, sussurra tra i denti aggredendo Eva e spingendola all’angolo.
Sorride dietro il paradenti. Montante sinistro. Potente, deciso. Sono a un fiato l’una dall’altra. Eva per pararlo striscia la schiena contro la corda. Si chiude a riccio e lavora di gambe, la tibia parte come una molla rimbalzando più volte contro la coscia della sudamericana e poi scivolare fuori dalla sua visuale.

Melanie si volta di scatto, rotea il bacino e carica un middle kick ma Eva lo para alzando il ginocchio. L’impatto del calcio è tale che la bionda rischia di cadere. Il pubblico ha un sussulto.

Vociare sconnesso.

Il tonfo degli arti che sbattono lascia pensare che stiano combattendo senza protezioni.
Occhi negli occhi, l’ombra dell’arbitro alle spalle, un enorme spettro che vigila.
La ragazza bionda ha visto determinazione e rabbia nello sguardo dell’avversaria. Ha sentito la potenza con cui fende l’aria. Ha capito che la velocità e la difesa sono le sue armi migliori. Non la farà entrare altrimenti è spacciata. Quei colpi sono potenti come cannonate.

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