Dove nasce la paura? Dentro di noi, nel groviglio di sensi di colpa, incomprensioni, contraddizioni e segreti che ci portiamo senza comprenderne bene gli influssi sin dall’infanzia oppure è qualcosa di reale, di oggettivo, una presenza malvagia che gioca con le suggestioni ma che finisce per agire concretamente?
La Casa di Amelia non è un episodio di una serie anche se ritroviamo personaggi e situazioni del precedente fortunato romanzo di Barbara Baraldi, La collezionista di sogni infranti. È un’evoluzione di una vicenda umana ma anche il segno tangibile che Barbara diventa sempre più padrona del linguaggio e del meccanismo narrativo. È un’indagine sulla paura interiore e quella su come (come in ogni buon thriller) nasceva una mente “cattiva”, malata.
Un libro da leggere più volte. La prima d’impatto per seguire una storia che questa volta non si limita a suggerite (e giustamente non sbandierate) citazioni cinematografiche ma riprende musiche, atmosfere degli anni 70/80 costruendo un solido terreno per un incubo che si dipana pagina per pagina come uno di quei film di cui il cinema italiano avrebbe davvero bisogno. Poi vi invito a leggerlo pagina per pagina come… un saggio, sulla paura la sua genesi, le risposte a volte contraddittorie e feroci che genera. Barbara riesce ad abbinare uno studio lucido dei meccanismi e delle situazioni della paura reso perfettamente anche nel book-trailer (youtube.com) che di per sé è un piccolo capolavoro di creatività.
Amelia vive tra due universi. Uno delimitato da antiche paure, ricordi dell’infanzia ma sviluppatasi completamente nella maturità, un mondo di mamme che si preoccupano, di cuginette amiche e complici, di speranze, di gatti simbolo. La sua stanza che la rinchiude in una prigione e al tempo stesso le è indispensabile. Poi c’è il mondo moderno virtuale, legato ai mezzi di comunicazione dell’elettronica. Dopo le drammatiche vicende di La collezionista di sogni infranti Amelia ha spento tutto, cercando di cancellare quella parte della sua esistenza come se, non vedendola, potesse annientarla. Ma è l’illusione della bimba che nasconde la testa sotto la coperta sperando che l’Uomo nero sparisca. Se c’è rimane al suo posto, minaccioso. E così anche i suoi amici virtuali? Cosa avranno pensato della sua improvvisa scomparsa.
Dai propri errori si dovrebbe imparare… allora perché Amelia ritorna nella casa degli orrori di Marina e Alex dalla quale è uscita viva ma segnata? Perché c’è in lei (e il lettore ne è complice) una fascinazione verso la parte oscura che non vuole lasciarla andare. Dopo un inizio claustrofobico, dove paura e ossessione si mescolano, Amelia non può più rimandare. Torna a ripercorrere quella strada nei campi agresti, sotto gli archi, incontrando personaggi all’apparenza buffi ma così sottilmente inquietanti da lasciarci intendere che il peggio deve ancora arrivare. E, puntualmente, arriva. Prima con l’assenza di segni di pericolo, come se non fosse successo nulla, poi con una rivelazione costruita con l’abile consapevolezza delle regole del genere. Un piccolo capolavoro di terrore umano che ci lascia con un punto di domanda. Sarà davvero finita? No di certo perché di fiabe oscure Barbara ne ha ancora molte da raccontare e presto lo farà.
Un’ultima nota. Malgrado la tensione, il gioco del terrore Barbara non nasconde se stessa dietro una vicenda truce. Leggete bene tra le righe. Alcuni passaggi, frasi, allusioni ci rivelano un’autrice dotata di grandissima sensibilità per la vita e per le ‘rare’ cose belle che ci riserva. A volte con rimpianto a volte con una passione che colpisce. Inserire questa vena dolcissima non era facile in un contesto di genere (detto nella migliore accezione del termine) e Barbara ci è riuscita.